ROBERT DOISNEAU
Ostinato nella sua convinzione di voler fermare il tempo che fugge, Robert Doisneau
è stato sì un fotografo francese, ma soprattutto è ricordato come uno
dei più popolari fotografi al mondo (del mondo ormai alle nostre spalle,
quello immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale).
Robert Doisneau è stato più pescatore di immagini che non cacciatore
di immagini - e la differenza c’è e non è sottile. La sua fama è legata
soprattutto al suo sguardo leggero sulle strade di Parigi, la città che
Doisneau ha saputo dipingere con la luce della sua macchina fotografica e
con la sua incredibile sensibilità.
Nato agli inizi del secolo scorso, il Novecento lo ha praticamente
percorso tutto o quasi: era del 1912 ed è morto nel 1994. Ha vissuto una
giovinezza grigia, dietro alle tende di pizzo di una famiglia della
piccola borghesia. All’età di 15 anni imparò il mestiere di incisore
alla scuola Estienne e in principio lavorò come disegnatore di etichette
farmaceutiche.
L’incontro che gli cambiò la vita fu quello con André Vigneau, di cui
divenne aiutante nel 1931, scoprendo così il mondo della creazione
artistica. Per quattro anni lavorò anche al servizio pubblicità della
Renault, poi venne licenziato e si buttò a capofitto nel mondo della
fotografia come fotografo indipendente (oggi diremmo freelance). Lo
scoppio della guerra mise però un brusco e brutale freno a tutti i suoi
progetti, ma solo per qualche tempo perché alla fine del conflitto
riprese in mano la sua macchina fotografica andando in giro ad
accumulare le immagini che fecero poi il suo successo: e le accumulò
recandosi “là dove non c’è nulla da vedere”, privilegiando gli attimi
furtivi, le piccole felicità illuminate da un raggio di sole che splende
sull’asfalto delle strade di periferia.
Aprile è il più crudele dei mesi, recita la poesia: e lui ad aprile
nacque e ad aprile morì. Se ne andò lasciando qualcosa come 450.000
negativi, opere che raccontano un’epoca - quella del secolo breve - con
un candore da cui però s’intravede la profonda riflessione tipica della
sua indole solitaria e malinconica, l’indole di un fotografo che si è
divertito tutta la vita fabbricandosi il suo piccolo personale teatro
della quotidianità.
©Monica Cillario per OD
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