BERENICE ABBOTT
Anagraficamente parlando Berenice Abbott è stata fra i
pionieri della fotografia. Nacque nel 1898 a Springfield e ha
attraversato quasi tutto il Novecento con la macchina fotografica in
mano, facendo da apripista nell’ambito della fotografia documentaria ed
esplorando le nozioni di realismo fotografico. Oltre che fotografare
sapeva anche scrivere bene: aveva infatti frequentato una scuola di
giornalismo all’Università dell’Ohio, presto abbandonata per dedicarsi
intensamente alla fotografia; nel corso della sua vita pubblicò persino
delle poesie sulla rivista sperimentale “Transition”.
La provincia le stava stretta e, giovanissima, si trasferì a New York
entrando a far parte della vita bohémien del Greenwich Village dove
incontrò Marcel Duchamp e Man Ray. Fu
proprio quest’ultimo ad avviarla alla carriera di fotografa: in un primo
momento posò per lui come modella, poi iniziò a lavorare come sua
assistente alla camera oscura.
Gli anni tra il 1920 e il 1930 furono ricchi di fermento innovativo e
creativo; in quel periodo l’Europa era un luogo di attrazione per molti
intellettuali e artisti provenienti da ogni dove. Parigi in particolare
era una meta che non poteva mancare nel tour europeo, tanto da essere
scelta come seconda patria da molti artisti; fra essi anche la Abbott,
che vi si trasferì nel 1921.
Aveva conosciuto Man Ray a New York, ma fu a Parigi che iniziò a
lavorarci insieme nel suo studio di Montparnasse. Insieme frequentavano
intellettuali, scrittori e artisti; lei cominciò a ritrarli, e proprio
attraverso i ritratti raggiunse rapidamente il successo, tanto che aprì
uno studio tutto suo. James Joyce, Eugène Atget, Marcel Duchamp, Jean Cocteau, Sylvia Beach, André Gide, Max Ernst,
nessuno si sottrasse ai suoi scatti, lei li immortalò tutti lasciando
di loro delle foto-ritratto che hanno fatto storia. Sono tutti ritratti
molto belli che la lanciarono nella carriera, ma il suo lavoro più
importante lo fece ritornando negli Stati Uniti per fotografare gli
spazi urbani.
Il crollo di Wall Street colpisce e cambia l’America agli inizi degli
anni Trenta e la Abbott è affascinata dalla rapida trasformazione di
New York: con la macchina fotografica inizia a documentare
l’architettura della città e le scene di vita urbana creando “Changing New York (1935-1939)”,
per l'appunto uno dei progetti più importanti della sua carriera
lavorativa. Con queste fotografie cattura e documenta le variazioni di
una metropoli in crescita, evidenziando il contrasto fra passato e
presente e risaltando l’adattamento alla modernità. È un’opera talmente
riuscita che viene promossa dall’amministrazione americana.
Nel 1941, coniugando il talento fotografico a quello della scrittura, pubblicò il manuale “A Guide to Better Photography”, che riscosse un enorme successo (e la cui prima edizione è ancora oggi molto ricercata dai bibliofili).
Man Ray aveva comunque lasciato il segno nel suo modo di lavorare, da
lui aveva imparato ad amare la ricerca estetica e nel 1950 la Abbott
produsse per il Massachusetts Institute of Technology (MIT) una serie di
illustrazioni sui principi della meccanica e della luce: questi lavori
ricordano i fotogrammi del 1920 ma brillano per personale talento e
mettono in risalto la soggettiva bravura artistica e tecnica
dell’allieva che non ha superato il maestro ma che certamente ha saputo
percorrere la propria strada camminando con le sue gambe.
Negli anni parigini aveva conosciuto e fotografato Eugène Atget
e si era interessata fin da subito al suo lavoro fotografico; poiché
lui morì poco dopo che si conobbero, la Abbott decise di acquistare
parte del suo archivio di negativi e cominciò a lavorare alla promozione
delle opere arrivando a scrivere anche il libro “Atget photographe de Paris”, che uscì nel 1930 e in cui lei compare nella veste di redattore fotografico. In seguito, nel 1964, pubblicò “The World of Atget”
e nel corso degli anni pubblicò diversi saggi su di lui, contribuendo a
diffonderne la fama nel mondo e dimostrando di possedere una notevole
capacità critica ed estetica non solo come fotografa ma anche come
studiosa.
Verso la metà degli anni Trenta subì un intervento ai polmoni e i
medici le consigliarono l’aria salubre della campagna; lasciò così la
città e si trasferì nel Maine, dove visse per tutto il resto della sua
lunga e operosa vita. Berenice Abbott era convinta che uno strumento
moderno come la macchina fotografica fosse stato creato con lo scopo di
documentare, e documentare fu quello che lei fece per tutta la sua
esistenza, documentando non solo lo sviluppo urbanistico delle grandi
metropoli come New York, ma anche la vita di tutti i giorni e i paesaggi
del luogo in cui si era trasferita: uno dei suoi ultimi lavori è stato
infatti “A Portrait of Maine” .
©Monica Cillario per OD
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