DAVID BAILEY
Vi ricordate “Blow up”? Quel film del 1967 di Michelangelo Antonioni è
un cult non solo per gli amanti del grande regista italiano, ma anche
per chi è appassionato di fotografia ed è interessante da vedere
soprattutto per coloro che quegli anni, per motivi anagrafici, non li
hanno vissuti. Il protagonista incarna in qualche modo la figura quasi
iconica del fotografo tipo degli anni Sessanta. Antonioni, nel
realizzare “Blow up,” si ispirò ad un fotografo reale: David Bailey.
Bailey era (anzi è, dal momento che è ancora vivente), un fotografo
inglese cresciuto nell’East London. Come uomo deve molto se non tutto
alla fotografia perché lo ha riscattato da una vita la cui partenza non
fu rosea: gli anni giovanili lo videro infatti attraversare il periodo
difficile della Seconda Guerra Mondiale a cui si aggiunsero le
difficoltà personali legate ad una dislessia non diagnosticata (i suoi
scarsi risultati scolastici non vennero compresi). In un primo momento
si appassionò alla pittura che in qualche modo lo compensò dai
fallimenti scolastici. In seguito subì l’influenza del cinema,
soprattutto quello americano del dopoguerra, e fu ammaliato dal fascino
per le celebrità e la raffinatezza. Ha più volte affermato di essere
rimasto fortemente colpito, alla fine degli Anni Cinquanta, dalle
fotografie delle donne himalayane scattate da Cartier-Bresson.
Terminato il servizio militare lavorò come assistente per il fotografo di moda John French e agli inizi degli anni Sessanta cominciò a lavorare come freelance entrando a soli 22 anni nella scuderia dei fotografi della rivista “Vogue”.
Terminato il servizio militare lavorò come assistente per il fotografo di moda John French e agli inizi degli anni Sessanta cominciò a lavorare come freelance entrando a soli 22 anni nella scuderia dei fotografi della rivista “Vogue”.
Usava una reflex monobiettivo a 35 mm, e questo dal punto di vista
tecnico gli permise di scattare delle fotografie in esterni che
restituiscono una straordinaria immediatezza e, soprattutto, riescono a
cogliere quelle che erano le mutevoli atmosfere degli anni Sessanta.
Stando ai critici, nei suoi scatti si coglie una personalissima
spontaneità del gesto e inoltre la presenza di elementi casuali
conferisce al suo lavoro una sorta di qualità filmica che riflette la
passione di Bailey per la Nouvelle Vague francese.
Ha imparato a fotografare da autodidatta, ma il suo talento innato e
il suo stile personale e diretto, formato da forti contrasti, hanno
fatto di lui uno dei fotografi più importanti della Swinging London. La
sua prima pubblicazione è ormai un’opera per collezionisti: si tratta di
“David’s Bailey’s Box of Pin-ups”, uscita nel 1965. È una scatola di
stampe che ritraggono celebrità e personaggi mondani degli anni
Sessanta; fra questi personaggi vi sono anche i gemelli Kray, noti
delinquenti dell’East End. Proprio il fatto che nella Box ci fossero
anch'essi provocò l’opposizione di Lord Snowdon ad una edizione
americana e decretò l’impossibilità di farne uscire una seconda. Questo
però fece in realtà un’enorme pubblicità al lavoro di Bailey e inoltre,
gioco forza, fece entrare il libro, le cui copie si limitarono alla sola
prima edizione, nei desiderata di tutti i collezionisti di libri
fotografici.
Bailey e il suo amico Terence Donovan, in quegli anni swinging,
colorati ed euforici del dopoguerra, cominciarono a frequentare
musicisti, modelle, celebrità e divennero essi stessi personaggi famosi:
si può tranquillamente affermare che furono i primi fotografi a
diventare delle star tanto che, appunto, Bailey ispirò il personaggio
del fotografo protagonista della pellicola di Antonioni.
Bailey non è però solo un fotografo famoso per essere stato famoso. I
suoi lavori hanno fatto scuola nel campo della fotografia di moda
poiché ha tracciato uno stile personale ed innovativo, essendo stato il
primo a mettere in evidenza più la modella che l’abito indossato, cosa
rivoluzionaria per l’epoca e non sempre seguita nemmeno oggi in cui
spesso si vedono fotografie patinate in cui le indossatrici sono ridotte
a semplici manichini e l’attenzione all’abito viene sacrificata in nome
della passione del fotografo di turno per il voler stupire a tutti i
costi creando degli scatti che di moda hanno ben poco. Osservare i
lavori che Bailey ha fatto per “Vogue” è utile invece per capire come
scattare una foto di moda il cui valore tecnico ed emotivo, di fatto,
non passerà mai di moda.
©Monica Cillario per OD
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